martedì 29 ottobre 2013

93. 05 marzo 1997 - NO DOUBT

Tragic Kingdom World Tour
Limelight (Milano)
Durata: 1h20'
Prezzo: 30000 lire
Posizione: 1° fila
Sold-Out: No
Pubblico: pieno






Ci sono concerti, pochi, che quando ci ripensi senti un moto d'orgoglio crescerti dentro per il solo motivo di essere stato uno degli spettatori.
Nel mio caso il più delle volte sono quattro i motivi che mi fanno dire di un live: essì cazzo, io c'ero.

1. Live di artisti poi ritiratisi (per limiti di età, per motivi di salute) o deceduti, oppure di band poi scioltesi: con diversi decenni di concerti alle spalle questa categoria comincia ad essere affollata, dato che ci entrano i trapassati (Jeff Buckley, Amy Winehouse, Whitney Houston e Michael Jackson e Lou Reed per esempio), e le band scoppiate (Dire StraitsR.E.M.C.S.I. e soprattutto le Spice Girls, per citarne alcune).
2. Spettacoli visti all'estero di tour che poi non sono passati dall'Italia: qui il sottoscritto, con malcelato orgoglio, può citare tra gli altri Prince ovunque tra il 1992 e il 2007, il Re-Invention Tour di Madonna nel 2004, Fangoria a Madrid nel 2005 e Pat Benatar in Iowa nel 2009. Non so se mi spiego...
3. Concerti passati direttamente alla storia della musica per la loro unicità o perfezione: in quest'ultima categoria inserisco ad esempio Peter Gabriel a Modena nel 1993, concerto poi diventato il DVD ufficiale del Secret World Tour, Annie Lennox a Montreux, unico live fatto in occasione dell'uscita di Why e registrato per gli Unplugged MTV, i Depeche al Forum nel 1993 e i Cure all'Arena di Milano nel 1989.
4. Piccoli show in piccoli club di artisti/band che di lì a poco sarebbero diventati/e BIG da stadio: questa tipologia è probabilmente quella che regala le medaglie più preziose e luccicanti da appuntarsi al petto (se la gioca coi tour oltre confine), perché ti da quel nonsoché da talent-scout. Alcuni esempi che mi riguardano?: Bjork nel 1994gli Oasis che con il concerto del '96 entrano in ben due categorie (primo tour e band sciolta) o i Daft Punk al Rolling Stone nel 1997. Adesso impazzite per Get Lucky? Tzè!

Di questa ristretta cerchia di live invidiatissimi, fa certamente parte la data milanese dei No Doubt datata 1997.
È vero che la band era attiva da 5 anni negli States, ma l'album del successo planetario, quel Tragic Kingdom che avevo ascoltato fino allo sfinimento nonostante sulla carta fosse lontano dalle sonorità elettroniche che accompagnavano le mie giornate a metà degli anni '90, era uscito da un anno e mezzo e inspiegabilmente, con singoli del calibro di Don't speak e Just a girl, per quella che doveva essere l'unica data italiana (poi venne aggiunto anche il Forum a qualche mese di distanza) venne scelta come location un micro locale come il LimeLight, club che da quando lo frequentavo, dopo City Square e Propaganda, era già al terzo cambio nome.
Il mio sponsor in tutta questa operazione, quel Marco S. che per mesi mi aveva inculcato con metodo scientifico la loro musica, tramite ascolti ripetuti e cassette autoprodotte, era anche il mio unico compagno possibile e desiderabile per l'occasione.
Ai tempi il mio lavoro mi portava in giro per Milano e hinterland con un enorme furgone bianco. Tra una consegna e l'altra mi fermai, nel primo pomeriggio, a dare un'occhiata alla situazione.
Quello che trovai non mi sorprese: diverse decine di fan erano già in attesa dell'apertura. Primo assoluto di fronte al portone: Marco! Tutto stava quindi procedendo come previsto.

Io, che avevo orari e appuntamenti da rispettare, dopo un breve saluto ripresi il mio giro, per poi tornare a Rozzano, dove la ditta aveva sede, cambiarmi, lavarmi e ritornare al LimeLight a vedere come si era evoluta la situazione.
Delirio.
Le decine di persone del pomeriggio erano diventate centinaia, tutte ben compresse in due serpentoni frementi per l'imminente apertura del locale.
Marco era sempre lì. Mi invitò a raggiungerlo: rifiutai, per evitare di essere scannato (per altro ne avrebbero avuto tutte le ragioni) dal resto degli astanti che avevano alle spalle diverse ore in attesa.
Così aspettai che dopo l'apertura delle porte tutti entrassero per fare altrettanto.
All'interno la calca era impressionante. Non era pensabile anche solo immaginare di avvicinarsi alla prima fila da cui Marco mi salutava un po' sconsolato. Ma erano diversi anni che mi barcamenavo tra concerti di tutti i tipi e i quasi 100 show visti mi davano un senso di tranquillità: conoscendo il tipo di musica dei No Doubt e l'effetto che questa avrebbe quasi certamente avuto su un pubblico già carico d'adrenalina, immaginavo che qualcosa di positivo sarebbe potuto accadere. E infatti...

Spente le luci il set venne aperto da Tragic Kingdom, ultimo pezzo dell'album omonimo e in assoluto il mio brano preferito della band californiana. Un richiamo che non potevo ignorare.

La canzone, uno ska quasi lirico, oserei dire epico, ha un crescendo che sfocia in un finale di delirio musicale: e fu subito pogo, ovvero quello che aspettavo. Mi infilai velocemente negli spazi che man mano si creavano, mi facevo spingere verso il palco, avendo cura di infilare una spalla o un gomito in ogni varco che si apriva, cavalcando il timore che prende chiunque si trovi ai margini di un pogo serio, che è quello di prendersi una gomitata in un occhio. 
Il miracolo si materializzò prima della fine della canzone: ero in prima fila, spalla a spalla con Marco. Mi guardò incredulo e felice mi chiese 'Cosa ci fai qui?'.

Come riassumere poi gli 80 minuti di concerto che sono seguiti? Direi ENERGIA & FOLLIA.
Sul palco un'esplosione di canto, suoni, corse, salti: Gwen Stefani era oltre ogni aspettativa. Una scheggia impazzita che dopo pochi minuti era già un bagno di sudore, tanto non stava ferma per un secondo. Qualcosa di mai sperimentato prima, soprattutto se si pensa alle cantanti di sesso femminile viste sino ad allora.
Con lei una band che poteva solo provare a starle dietro. Di fronte a noi, a poche decine di centimetri, Tony Kanal (il mio favorito della band) ci riusciva piuttosto bene: caricato a molla, era sempre pronto a saltare e a correre sul piccolo palco.
Dietro a noi era delirio & paura: oltre all'inevitabile pogo alcuni spettatori si lanciarono nella pericolosa pratica del crowd-surfing: dato che gli amanti del genere puntano il palco per poi passare al stage-diving, con un occhio guardavo il palco ma con l'altro tenevo costantemente sotto controllo i movimenti alle mie spalle, per evitare che mi arrivasse in testa una scarpata... 

In sintesi i No Doubt furono indimenticabili: instancabili, senza freni, completamente folli. Chi si era fermato a Don't speak deve essere rimasto turbato dall'energia prodotta da quei 4 sul minuscolo palco del LimeLight.

Uscimmo distrutti, sudati, mezzi sordi e afoni. Cosa potevamo chiedere di più?


Visto con: Marco S.

giovedì 24 ottobre 2013

92. 12 febbraio 1997 - LAMB


Magazzini Generali
Durata: /
Prezzo: /
Posizione: 1° fila
Sold-Out: /
Pubblico: Pieno












Chiuso il 1996 con i suoi 22 eventi visti, il nuovo anno di concerti veniva inaugurato con un live a dir poco attesissimo: in quei mesi infatti la prima onda drum'n'bass calava pesantemente sui miei ascolti abituali, fornendo nuovi stimoli al mio amore per la musica dance-elettronica. A darmi grandi soddisfazioni in quel periodo erano artisti come Sneaker Pimps, Future Sound Of London, 808 State, Underworld, Leftfield, Aphex Twin (limite massimo dell'ascoltabile per me: il passo successivo, ovvero Autechre, era già fuori scala) e Lamb.
Proprio questi ultimi avevano rappresentato, col primo lavoro omonimo, una novità che mischiava felicemente l'elettronica, l'indie e la dance.

Fu amore a primo ascolto e, per quanto riguarda la parte maschile del due, anche a prima vista.


La voce di Lou Rhodes, a tratti quasi infantile, era perfetta per le sonorità dance del sexy Andy Barlow. Insomma: al concerto ci si andava con interessi multipli, che non si fermavano solo alla musica.

Per godere appieno di questo ben di dio, ci premurammo di arrivare per tempo, in modo di accaparrarci una prima fila, che per l'occasione era perfettamente centrale.

La location era nuova: i Magazzini Generali, nuovo locale milanese aperto da pochi mesi, ci davano il benvenuto nella sua 'sala grande': uno stanzone stretto e lungo dall'acustica discutibile. Sarebbe stato solo il primo di una lunghissima sfilza di concerti ... ma nulla a che vedere col compianto Rolling Stone.
Allo spegnersi delle luci, fu subito chiaro che il concerto si sarebbe giocato sul perfetto equilibrio tra la voce eterea di lei e i suoni sintetici e crudi di lui.
Il pubblico era incontenibile, la qual cosa non passò inosservata a Andy che, non so se aiutato da sostanze di un qualche tipo, sul palco saltava come un grillo e urlava come un pazzo, completamente coperto dai suoni delle sue tastiere.
Il clou, per lui ma soprattutto per noi, si raggiunse quando, esaltato oltre ogni dire, saltò giù dal palco e si issò sulle transenne, esattamente di fronte a noi (e nello specifico, posso aggiungere che io avevo il suo ombelico all'altezza del mio naso, per capirci).
Lo abbracciammo, sopraffatti dalla sua carica di energia, con molto, molto calore. 
Lui non si ribellò al nostro vivace abbraccio, anzi.

Diciamo che uscimmo dai magazzini con un indelebile ricordo stampato nella memoria e tra le mani. 

Visto con: Vincenzo, Marco s.

giovedì 26 settembre 2013

91. 25 dicembre 1996 - PATTY PRAVO

WARM-UP TOUR
Le Rotonde (Garlasco - PV)
Durata: /
Prezzo: /
Posizione: Platea
Sold-Out: No
Pubblico: 500 pc



Marco me lo chiese, senza preamboli: 'Vieni a vedere Patty Pravo alle Rotonde a Natale?'. 
Mi feci una risata, non lo conoscevo ancora abbastanza bene per capire se parlasse seriamente o stesse scherzando.
Propendevo per la seconda ipotesi: ero abituato ad essere 'scherzato' per la mia passione per molte delle icone-queer italiane di tutte le ere (Mina, Loredana, Rettore, Nada, Ornella ... non mi facevo e non mi faccio mancare nulla!) circondato com'ero da puristi dell'indie inglese o del grunge americano.
E invece no: parlava seriamente. Ovviamente accettai, non sapendo che avrei assistito ad uno dei concerti più ... fuori dagli schemi di sempre. Parliamo dei miei, di schemi.

Prima di iniziare va ricordato che in quegli anni l'allora 48enne  (e ancora bellissima) Strambelli, che di lì a due mesi avrebbe riabbracciato il successo a Sanremo con il pezzo di Vasco '...e dimmi che non vuoi morire', da alcuni anni navigava a vista, con una popolarità in calo da un ventennio, riproponendo in loop 'Pensiero stupendo', 'La bambola' e 'Ragazzo triste'.
Il concerto in questione non si scostava di un millimetro da questo trend, fortunatamente, perché noi volevamo sentire quelle canzoni, non certo i canti mongoli registrati in Cina e il rischio c'era.

Il primo dettaglio da sottolineare è la location: eravamo alle Rotonde di Garlasco, luogo cult-trash dove Madonna aveva cantato Everybody e Holiday per Discoring nel lontano 1984. Tutto, dai mobili all'atmosfera, era un tuffo negli anni '70. Anche Patty lo era. In quest'ottica tutto era perfetto.
Noi con i nostri 21/23 anni, rappresentavamo un faro di gioventù in mezzo ad un pubblico di ultra 50enni, con le signore cotonate-impellicciate-ingioiellate come se fosse l'ultimo giorno prima dell'armageddon. 
Cioè: era Natale, tutti gli astanti erano reduci dall'abbuffata del pranzo festivo e, reindossata la mise della messa di mezzanotte, suggevano flute di spumantino da quattro soldi.

Una situazione quasi esaltante.

Noi avevamo il nostro pittoresco tavolino rotondo, un po' defilato, vicino ad una colonna. Lo show, per quanto un po' tristanzuolo dal punto di vista scenografico, fu abbastanza coinvolgente. Patty anche se campava di rendita, ci intrattenne senza risparmiarsi, senza stravolgere i pezzi classici e intervallando il tutto con ricordi e considerazioni nel complesso divertenti. Teneva il palco e il suo pubblico con classe.

Come si diceva la sua carriera ricominciò a correre poche settimane dopo, tanto che, dalle 20000 lire o giù di lì delle Rotonde, si passò alle 70000 allo Smeraldo.

E la Patty non ci ha più visto tra il suo pubblico...


Visto con: Marco C./Stefano

giovedì 19 settembre 2013

90. 6 dicembre 1996 - THE CARDIGANS

Tunnel (Milano)
Durata: 1h20'
Prezzo: Gratis con tessera
Posizione: Platea
Sold-Out: No
Pubblico: 6/700 pc




Erano quegli anni lì, quelli in cui, a Milano, di club per andare a sentire musica dal vivo ce n'erano tanti. Il Tunnel poi era una caso a parte: si entrava con la tessera annuale e si pagavano solo le consumazioni. Era piccolo, underground e non privo di fascino.
Ma non fu per queste motivazioni che decisi di accodarmi a tutti gli altri che al concerto degli svedesi Cardigans ci andavano con maggiore convinzione. Io lo feci più che altro per senso di emulazione, per passare la sera fuori con i miei amici. 

Il ricordo più vivido legato all'evento però rimane l'informe massa di umanità, di cui tutti noi eravamo parte, che cercava di entrare in un buco di 100 mq (a voler dir tanto).
Tutti schiacciati fuori, al freddo, a chiederci PERCHE'?! Perché tutto questo sbattimento, questa fatica, questo sudore? Perché rischiare un colpo di freddo, la malattia, una gomitata in un occhio? Erano rischi che ci eravamo presi decine di volte, la domanda in quell'occasione era: perché lo stavamo facendo per i Cardigans, di cui ballavamo una canzone una ('... love me love me, say that you love me ...') ogni venerdì sera al Rainbow?
Io almeno non riuscivo a togliermi questa domanda dalla testa.

Il concerto iniziò che io ero ancora all'altezza della zona biglietteria, con centinaia di persone davanti e altrettante di dietro, alla faccia della capienza del locale: se per qualunque motivo ci fosse stato un ferito nelle prime file, non solo lo sventurato avrebbe fatto in tempo a morire, ma probabilmente anche a diventare fertilizzante.

La diaspora della folla che prende vita e diventa un essere vivente (ma senza un cervello a comandarlo) mi aveva separato da tutti gli altri. Riuscii a malapena a superare la tenda d'ingresso della sala per 'godermi' la flebile voce della cantante Nina Persson, praticamente azzerata dal rumore di fondo della sala, che il concerto era finito... un'altra lenta transumanza verso l'esterno, di nuovo riuniti in gruppo, con una missione ben più convincente: era venerdì, ed era giusto l'ora di andare al Rainbow.


Visto con: Vince/Walter/Alex/Giò/Simone

giovedì 12 settembre 2013

89. 27 novembre 1996 - TRICKY

City Square (Milano)
Durata: 1h30'
Prezzo: 35000 Lire
Posizione: 1° fila
Sold-Out: No
Pubblico: 1500 pc






48h dopo il concerto di Neneh Cherry al Rolling Stone, venne il turno di Tricky al Propaganda. 
La discoteca teatro di uno dei primissimi concerti visti dal sottoscritto, quello di Wendy & Lisa, da circa un anno aveva cambiato nome: abbandonato quello con cui l'avevo conosciuto, City Square, prendeva quello di una delle band da me più amate degli anni '80.
Dentro non c'era più la kitchissima piazzetta ricreata, con tanto di orologio: tutto era più 'industrial, ma l'impianto generale rimaneva lo stesso.

Il triennio 1995-1997 fu, incontrastato, il mio periodo d'oro con Mr Adrian Thaws, che in quegli anni consideravo in tutto e per tutto il mio artista favorito.
Maxinquaye è stato il mio album totem degli anni '90, un gioiello che ancora oggi riesce a stupirmi e vederlo come supporters di PJ Harvey a Modena (in effetti vidi molto poco, dato che fece tutto il concerto al buio) fu solo il preludio di una lunga serie di occasioni di incontrarlo, che mi ritagliai nel corso degli anni.

Come da copione arrivai troppo presto e gli altri, alla spicciolata, mi raggiunsero in prima fila. Mentre si aspettava l'inizio, Tricky venne avvistato in zona bar mentre si intratteneva con chiunque gli rivolgesse la parola. Mi presi un minuto per riflettere, misi qualcuno dei 'miei' a presidiare la transenna e uscii a recuperare il vinile di Pre-Millenium Tension che avevo portato, proprio nel caso si fosse presentata un'occasione del genere.
Mi ridussi ad implorare quelli della security che, notoriamente privi di qualunque pietà, una volta entrati non fanno più uscire chicchessia. A meno, ovviamente, di non volerci rimanere, fuori. Se non ricordo male devo aver accennato ad un farmaco salvavita, forse l'insulina, dimenticato nel cruscotto: si saranno immaginati un'accusa di omicidio colposo, perché funzionò.
Di ritorno mi ritrovai Tricky di fronte, pochi metri dopo aver superato la soglia. Lui era solo, io ero agitatissimo, come sempre: fu oltremodo cordiale, mi autografò la copertina dell'LP e scambiò qualche parola, con la sua voce sabbiosa.

Ero felice, potevo tornare con gli altri.

Il concerto confermò quel poco che avevamo capito di Tricky, della sua musica e del suo modo di intenderla dal vivo. Aggiunse anche qualche nuova certezza: la splendida Martina, unica nota gentile in uno show duro, difficile e respingente. Di nuovo c'era il buio (quasi) totale sul palco, solo ombre che si intravedevano contro le poche e fioche luci poste sul fondo. Ritmi ossessivi, ripetuti apparentemente all'infinito e amplificati dal THC che intorpidiva e dilatava quasi tutti, sopra e sotto il palco.

Per rendere l'idea, ecco un brano live di qualche mese dopo:



Alla fine, quando si riaccesero le luci in sala, eravamo tutti abbastanza shockati, anche chi come me, Filo e Vince, aveva già avuto l'occasione di imbattersi con Tricky dal vivo. Rimaneva la chiara sensazione di avere a che fare con un genio, per quanto disturbato, nel suo periodo di massima creatività.

Quel che è certo è che, non paghi, di lì a poco ci sarebbero state altre occasioni per nuovi e mirabolanti incontri/scontri con lui.


Visto con: Vince/Marco C./Alex/Filo/Sara/Gabri

giovedì 22 agosto 2013

88. 25 novembre 1996 - NENEH CHERRY

Rolling Stone (Milano)
Durata: 1h45'
Supporters: Sneaker Pimps
Prezzo: 35000 Lire
Posizione: 1° fila
Sold-Out: No
Pubblico: 4/500 pc




Anche questo, converrete, è un concerto che merita di essere ricordato e raccontato.
Per tanti motivi: perchè Neneh era ed è una grande e i suoi live in Italia sono stati pochissimi. E anche per quello che accadde prima, durante e dopo lo show.

Partiamo col 'prima': come molti mi ero avvicinato all'allora rapper svedese (e sì, svedese: anche io subii uno shock quando lo scoprii) alla fine degli anni '80 quando uscì Raw Like Sushi, con il suo carico di singoli spettacolari, come Buffalo Stance, Heart e, soprattutto Manchild, canzone (e video) di cui mi innamorai perdutamente. 



L'attesa fu estenuante per riuscire a vederla dal vivo: lo splendido Homebrew del 1992 non ebbe l'onore di essere seguito da un tour, e se lo fece, di certo non passò dall'Italia.
L'album Man fece il miracolo, ma di quelli tangibili che meriterebbero la beatificazione d'ufficio: la portò infatti a Milano per ben due concerti, uno qualche mese prima al Festival Sonoria e l'altro è quello che vado a raccontare. Ma non era finita, infatti non solo avrei avuto finalmente l'occasione di godere di Neneh dal vivo in un set tutto suo, ma prima di lei, come supporters, ci sarebbero stati gli Sneaker Pimps con Kelli Dayton ancora alla voce (sarebbe stata defenestrata di lì a poco).
La band indie-electro per cui da alcuni mesi nutrivo grande stima, supportata da incessanti ascolti.

L'esperienza di tanti live visti mi ha portato a capire che è già raro avere un supporter di qualità, che sia uno degli artisti che consideri top rasenta il 'quasi impossibile'. I presupposti erano pazzeschi, e l'attesa e l'eccitazione per l'avvicinarsi dell'evento acuirono il mio stupore quando, arrivato fuori dal Rolling Stone mi resi conto che non c'era nessuno. E con nessuno non intendo usare un eufemismo. 
Non me ne preoccupai: in quanti concerti avevo visto la sala riempirsi poco prima dell'inizio del concerto? Non me ne veniva in mente nessuno, ma qualcuno ci sarà stato di sicuro.

Entrai con la Gabri e senza competizione ci posizionammo perfettamente al centro della transenna. I minuti passavano e il pubblico cresceva ad una lentezza allarmante tanto che, all'inizio degli attesissimi Sneaker Pimps, credo ci saranno state una 50ina di persone, ovvero due file di fronte al palco e poi il vuoto cosmico.
Mi sentivo male. 
Ho sempre pensato che l'artista che si trova di fronte poco pubblico cada in un profondo stato di depressione, una fase di catatonia che non riuscirà mai più a dimenticare e divento a mia volta molto triste. Come se non esistessero motivi validi per deprimersi davvero ...
Comunque la band non sembrava patire il fatto di avere 4 gatti di fronte (anche perché non era il loro concerto) e io me la godetti dalle prime elettronicissime note! Lei era uno scricciolo sexy-gotich-dark con una voce affascinante. Ogni tanto buttavo l'occhio dietro sperando in un'improvvisa evoluzione della situazione pubblico, ma il tutto era parecchio statico. Finché in una delle mie perlustrazioni mi resi conto che dietro le mie spalle, a pochi centimetri da me, ballava e cantava Neneh con alcuni componenti della band e della crew. Cercai di comunicare a chi era con me, prima col pensiero, poi con gli occhi, quello che stava succedendo dietro di noi. Come spesso accade quando mi trovo di fronte (o alle spalle) un artista che amo, ho grosse difficoltà a trovare il coraggio di rivolgergli la parola. Per riuscire a farlo ho sempre bisogno di un periodo di training autogeno e il più delle volte, in quel lasso di tempo, l'artista di turno è già a letto in albergo.
In quell'occasione non ebbi cuore di rovinarle il momento e poi, in mezzo alla musica degli Sneaker Pimps, avrei dovuto urlare le idiozie che intendevo dirle. Appuntamento rimandato, anche se di poco.
Alla fine del set dei supporters Neneh era sparita.

Poi ci fu il concerto: lei gigiona e simpatica, mai ferma sul palco nel look un po' militare che la caratterizzava allora, mi snocciolò quasi due ore di concerto che mi riempirono di soddisfazione e gioia. 
Nessun riarrangiamento estremo dei vecchi pezzi, cosa che ricordo apprezzai moltissimo. Purtroppo neanche in rete v'è traccia della scaletta proposta, sarei stato curioso di riviverla a quasi 20 anni di distanza.
Il pubblico era scarso ma la serata funzionò alla perfezione, senza che per un solo istante scorgessi del disappunto nei suoi occhi.

Finito il concerto, tutti a casa? Ma no dai! Aspettiamola fuori che intanto non c'è nessuno.
Lei uscì poco dopo con quella che, data la somiglianza, credo fosse sua sorella più piccola. C'eravamo solo noi quindi si avvicinò a noi sorridente e disponibile. Mi chiese se mi ero divertito e mi diede un indimenticabile bacio sulla guancia. Date le ripetute collaborazioni avute con Tricky sui rispettivi album le chiesi se avessero intenzione di fare qualcosa assieme durante il concerto che lui avrebbe tenuto di lì a due giorni ai Magazzini, ma mi guardò come per dire: me lo sono già sorbito a sufficienza, non ci penso neanche!
Un ultimo saluto, un autografo e via!

Love U Neneh!


Visto con: Gabri

lunedì 12 agosto 2013

87. 23 ottobre 1996 - THE CURE

The Swing Tour
Forum (Assago)
Durata: 2h45'
Prezzo: 38000 Lire
Posizione: 1° fila
Sold-Out:
Pubblico: Pieno





Questo concerto mi fece capire quanto sia superflua e ininfluente, al fine della resa di un live dei Cure, la bellezza o (come in questo caso) la bruttezza dell'album che presentano dal vivo.

Per chi li ama i Cure sono sempre e comunque imperdibili: in qualche maniera riusciranno a lasciarti a bocca aperta e quando le luci si riaccenderanno, sarai comunque soddisfatto.

Ma bando alla teoria, veniamo ai fatti: come spesso accade sulle pagine di questo blog i ricordi sono pochi e concitati. Si fa quel che si può.
I presupposti erano pessimi: l'album uscito da poco era davvero pessimo. Credo di averlo ascoltato tre volte, con grande sforzo. Chi come me era cresciuto non solo con la 'trilogia della morte lenta e dolorosa' (Faith/Pornography/17 seconds), ma anche con lavori non perfetti ma pieni di canzoni indimenticabili (The Top/The head on the door/Kiss Me³/Wish) e con quello che era indossolubilmente diventata la colonna sonora della sua crescita (Disintegration), accettare un tale agglomerato di facezie era un boccone difficile da ingoiare, men che meno da digerire. Direi impossibile.
Ma a distanza di 13 anni posso dire con certezza che le possibilità che mi portarono comunque a decidere di non perdermi questo live nonostante le pessime prerogative sono due: o avevo messo in atto la filosofia di cui sopra (i Cure si vedono, sempre e comunque), oppure, più probabile, avevo acquistato i biglietti del concerto prima dell'uscita del disco.

Quindi, noi c'eravamo. Sugli spalti, visti i precedenti del 1989 e le scarse aspettative. Ma, con una reazione fotocopia a quella che mi aveva trascinato in platea qualche mese prima al concerto del palalido degli Oasis, dopo poche note di Plainsong che aprì le macabre danze, salutai la compagnia e mi buttai tra la folla. Avevo una sola meta: la transenna della prima fila.

Da qui in poi la mia memoria è una stanza buia: non ho ricordi del tragitto e delle difficoltà incontrate nel mio cammino verso il Santo Graal del fronte-palco. Sicuramente le prove furono molte: non ultima la scaletta che venne snocciolata nella prima metà dello show. Un orrore. Plainsong era stata un mero inganno per farmi abbandonare il mio comodo posto a sedere!
Neanche Pictures of you o Just like heaven riuscirono a dar luce ad una scaletta fatta di insipide canzoncine allegrotte a me del tutto sconosciute. 
Solo quando ormai la mia meta era a poche di decine di centimetri di distanza arrivò una Prayers for rain a darmi la forza di andare avanti, di trovare un barlume di energia che mi permise di aspettare gli ultimi svenimenti di giovani dark stremate dalla calca e dal caldo, e di raggiungere vittorioso la transenna e la prima fila!
E il premio arrivò glorioso: la fine del concerto fu una infilata di pezzi bellissimi, con 4 capolavori assoluti: Disintegration (capolavoro assoluto), Dressing Up (inaspettata), Play for today (uno dei miei pezzi favoriti da sempre) e Faith (il Dark con la D maiuscola).
Ma fu il brano di 17 seconds (P4T), con il suo strascico di amarezza, delusione e rammarico, a darmi il colpo di grazia: alle prime note estrassi da una tasca un manufatto fracico che fumai in due tiri, condividendoloi con un improvvisato vicino di transenna dall'entusiasmo irrefrenabile.

E come il concerto epico dell'89 il tutto si concluse con Faith. Nulla a che vedere, per portata storica e densità spirituale, al primo, inutile sottolinearlo. Ma Bob è Bob, e passata questa prova, non avrebbe più osato tanto nel futuro.


Visto con: Gabri (Sara/Willy)

Scaletta: Plainsong / Want / Club America / Fascination Street / Lullaby / Pictures of You / Jupiter Crash / Round & Round & Round / Just Like Heaven / Cold / Friday I'm in Love / Catch / Mint Car / Strange Attraction / Lovesong / Return / Trap / Treasure / Prayers for Rain / In Between Days / From the Edge of the Deep Green Sea / Bare / Disintegration

Dressing Up
/ Let's Go to Bed / Close to Me / Why Can't I Be You?

Play for Today
/ Boys Don't Cry / A Forest / Faith 

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